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Nicolas Cocino, docente IAAD. del corso in Interior design, ci racconta cosa significa essere Interior designer

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L’Interior designer è come un compositore: l’intervista a Nicolas Cocino

“L’Interior designer sceglie nella tavolozza del mondo come fare il suo progetto per creare bellezza.”

Queste le parole del nostro docente Nicolas Cocino che in questa intervista ci racconta la sua storia.
Ex studente IAAD. e docente da 26 anni nel suo stesso istituto continua a perseguire la sua mission: riconoscere in ogni studente e studentessa la loro unicità e farla emergere.

“L’Interior designer sceglie nella tavolozza del mondo come fare il suo progetto per creare bellezza.”

Queste le parole del nostro docente Nicolas Cocino che in questa intervista ci racconta la sua storia.
Ex studente IAAD. e docente da 26 anni nel suo stesso istituto continua a perseguire la sua mission: riconoscere in ogni studente e studentessa la loro unicità e farla emergere.

Leggi la trascrizione dell’intervista a Nicolas Cocino

sul significato di essere Interior designer

Buongiorno, prima di tutto mi presento: sono Nicolas Cocino.

Di cosa si occupa la tua figura professionale?

Mi occupo di Interior design.
Ho fondato il mio studio nel 1994 e l’ho chiamato da subito UNIKOdesign: ecco, questo non era un vanto di essere unico ma è dedicato all’unicità che ognuno apporta, perché il progetto di Interior si dedica all’unicità e legge quell’unicità, no?
Quindi mi sono mosso in questi ambiti qua, sempre con un’indicazione di capire cosa il cliente chiede, di leggerlo e di saper mettere in atto la sua visione, ecco: questa è la parte che ho ho sempre prediletto, e poi è avvenuta questa cosa, ho fatto lo IAAD. tantissimo tempo fa.

Lo IAAD. è stato fondato 40 anni fa da tre da tre figure professionali che erano Sala, Parisetti e l’architetto Beveresco, che era il mio docente di Interior design: questo docente, questa persona eclettica straordinaria, con cui ho ancora rapporti, mi ha invitato a dare vivacità a questo mondo, e da allora questa cosa io ho rispettato.

Quindi, per me essere allo IAAD. è anche una una forma profonda di di affetto che ho nei riguardi di questa figura, e lui mi ha detto “devi continuare la mia figura” e ho rispettato questa suo mission da sempre.
Mi ha fatto scoprire tante cose: la relazione che ho con i ragazzi, nel riconoscere anche qui la loro unicità.

Focus su una materia specifica

Allora, in IAAD. insegno Interior design e Product design: sono molto affezionato sia all’interior design che al prodotto; lavoro sulla capacità dello spazio, su come si deve vedere la materia e come si deve comporre.

È un evento per me musicale.
Interior design, ho sempre amato questa parola, è proprio una relazione profonda con se stessi che viene fuori, quindi è una comunicazione: oggi anche con i ragazzi dicevo che secondo me è una composizione musicale, fatta di colori, di materia, ogni materia è una musica.
Allora l’Interior designer è un compositore, è una persona che sceglie nella tavolozza del mondo come fare il suo progetto, cosa andare ad attingere, no?
Quindi deve creare bellezza, deve ridonare bellezza: il motto a cui invito a ogni lezione e ogni uscita didattica che facciamo è “noi siamo designer”, questo è il motto che io invito a fare; scegliere la grande tavolozza, il grande affresco che la terra ci concede.

Un consiglio che vorresti dare ai tuoi studenti?

Mi sento di dare questo consiglio: non esiste solo questo modo di vedere, non esiste solo scrollare e guardare su una piccola immagine. Potenzialmente siamo molto più ricchi: siamo restati ristretti in questa piccola branchia di vita dove non c’è più la parola, dove è stata tolta, quindi invito i ragazzi ad esprimersi profondamente.

C’è proprio una mostra adesso a New York su architettura e drawing, cioè il disegnare, cioè gli architetti che disegnavano a mano.
Nel rif. di un architetto c’è una conoscenza straordinaria; nel rif. anche di un ragazzo che inizia c’è veramente un mondo, quindi il disegno a mano è la prima espressione che parla, attraversa, passa dal cuore e va nella mano.
Non c’è gesto più semplice, anche da comunicare con una persona in atteggiamento frontale, che diventa straordinario: tu stai parlando a lui e lui sta parlando a te.


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