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Claudia Vanti, Coordinatrice del Corso Professional in Fashion Styling, ci racconta la figura professionale del Fashion Stylist e perché è così importante oggi nel mondo della moda.
Claudia Vanti, Coordinatrice del Corso Professional in Fashion Styling, ci racconta la figura professionale del Fashion Stylist e perché è così importante oggi nel mondo della moda.
sul Corso Professional in Fashion Styling di IAAD.
Ciao, mi chiamo Claudia Vanti.
Sono essenzialmente una Fashion Designer curiosa e secchiona, per cui in realtà ho fatto anche esperienza di scrittura: scrivo per “Il Foglio Della Moda”, attualmente, prima per altre riviste d’arte; come designer invece ho collaborato con moltissimi marchi italiani e non, con una carriera che il mio agente ha sempre definito super eclettica, quindi da Chanel a Coin, e in mezzo un grandissimo lungo rapporto molto formativo con l’architetto Gianfranco Ferré.
In realtà non ho deciso di insegnare ma l’insegnamento mi ha un po’ catturato per caso.
Ho fatto dei seminari alla facoltà di sociologia ad Urbino specifici sull’interazione tra moda e altri settori della contemporaneità dal punto di vista mediale e comunicazionale: ho scoperto che mi piaceva, ho scoperto che mi divertivo moltissimo, che questi seminari di 24 ore all’anno erano pochi e quindi poi dopo mi sono informata e ho cominciato soprattutto con IAAD. ad attuare dei percorsi un pochino più continuativi, che si prolungano ormai dal 2018.
La cosa che mi interessava di più era comunque il fatto di essere in un ambiente multidisciplinare, quindi non la sola scuola dedicata alla moda in maniera un po’ ossessiva, ma che ci fosse anche il confronto con altri settori del design, consapevole del fatto che il design è una realtà multisfaccettata e che quindi anche il fatto di interagire a volte con altri ambiti potrebbe essere estremamente utile, gratificante e formativo: questo mi piacerebbe che fosse fatto anche di più.
La professione di Stylist è stata per tantissimi anni il segreto meglio custodito in ambito moda, nel senso che si sapeva che esistevano queste figure, pure a fianco di stilisti, fotografi, nelle redazioni dei giornali, per creare il racconto, la drammaturgia di un servizio fotografico di moda, e dietro anche agli scatti di cataloghi o pubblicità importanti del mondo moda o ai look speciali di persone in determinati eventi, però i nomi non erano mai particolarmente conosciuti.
Soltanto oggi la professione ha cominciato a diventare un po’ più, così, al centro del discorso creativo pubblico, anche con alcune figure che soprattutto in ambito italiano si sono occupate delle immagini di star molto amate dal pubblico più giovane, quindi sono diventati famosi i nomi soprattutto di Susanna Ausoni, e quindi la figura è venuta allo scoperto.
In realtà è una figura che esiste dagli anni ’90 e che appunto, di fatto, cosa fa? Collabora con tutte queste professionalità prima elencate per tirare le fila di una storia, una storia che c’è già alla base, quando si comincia a progettare una collezione, con un’ispirazione, un mood che in qualche modo la permea, e poi a maggior ragione si ripropone in una campagna stampa, in un servizio per un giornale dove i capi non vengono semplicemente fotografati come se fossero appesi allo stand di uno showroom: devono creare delle storie, comunicare qualcosa, danno vita a un racconto completamente diverso, quindi c’è di fondo una narrazione, termine che oggi va molto di moda e viene applicato quasi a qualsiasi cosa.
Narrazione per immagini, una narrazione visiva, e quindi lo stylist adesso è diventato una figura molto popolare, anche una professione piuttosto ambita, perché trova applicazioni sia in ambito editoriale a supporto delle aziende, a supporto degli e-commerce, perché tantissime aziende hanno bisogno di scatti accattivanti, perché non possono presentare dei capi come dei semplici cataloghi di capi uno dietro l’altro ma che comunichino comunque una sensazione, che creino un aggancio col consumatore; possono anche dedicarsi, se capita l’occasione, a personaggi pubblici che abbiano bisogno di un’immagine particolare per un evento, ma possono anche applicare la loro creatività, perché di fatto è una creatività che remixa i capi di collezioni già esistenti.
Lo stylist non crea capi: semplicemente, come un bravo DJ prende dei capi di collezioni già realizzate e li mixa creando un look completamente nuovo o interessante.
Si può applicare anche all’interno di una vetrina, di un negozio, o per dare dei consigli personalizzati a una cliente di un negozio per rendere l’esperienza anche del retail più speciale, esclusiva e gratificante per il consumatore di quanto non lo possa essere semplicemente entrare e vedersi delle cose appese.
Prima di tutto, come competenze, diciamo che è un po’ generico e a volte un po’ consolatorio come indicazione da dare, però una enorme passione per la moda: è banale se vogliamo ma è un po’ alla base di tutto.
È chiaro che se si hanno già competenze pregresse, o anche una minima esperienza di lavoro in questo settore che possa essere a livello produttivo all’interno di aziende, all’interno di uffici stile, o semplicemente aver fatto delle fotografie, è naturalmente più facilitato perché magari si conoscono già alcuni meccanismi, anche fondanti del sistema moda, che facilitano sicuramente l’apprendimento di alcune caratteristiche base: per esempio, io che sono la stilista del pool di docenti di questo corso, il mio compito sarà quello di dare una serie di informazioni e panoramiche su tutto il funzionamento del sistema moda, quindi tempistiche, come si sviluppano le collezioni, come vengono organizzate anche in conseguenza di tempi che sono sempre più stretti, in modo che le persone che naturalmente poi devono trovare dei capi da scegliere, accostare, abbinare, per creare i loro look sappiano anche come muoversi in mezzo a queste tempistiche.
Per cui è chiaro che, appunto, se si ha già un minimo di esperienza in questo settore, o si è fatto un corso preliminare, naturalmente si è un po’ più facilitati, però il nostro compito sarà anche di dare queste informazioni a chi, invece, semplicemente si approccia dopo un diploma di scuola superiore, o addirittura vuole cambiare tipo di di lavoro, o addirittura può essere interessato anche per una questione di self branding, perché di fatto tanti content creator, persone che si presentano anche sui social con identità molto precise e molto ben definite, possono fare anche su se stesse un’operazione di maggiore affinamento di quello che riguarda lo styling e la capacità e la possibilità di presentarsi.
Allora, il corso nasce a Bologna che è un crocevia essenziale anche nel mondo del tessile/abbigliamento: non è Milano che è la capitale della moda riconosciuta, però Bologna, oltre a essere estremamente raggiungibile da tante parti anche della penisola, appunto, diventa comoda per tantissime professionalità.
È un crocevia perché comunque è un punto strategico anche per la produzione dell’abbigliamento: troviamo tantissime aziende, medie, grandi, piccole, e un retail specializzato che ha sempre necessità di produrre nuove immagini, nuovi contenuti da veicolare, soprattutto sul web, quindi avere styling interessanti per i loro prodotti.
Però ci sono tantissime aziende che necessitano di cataloghi di vendita, cataloghi per la stampa, cataloghi da mandare appunto agli uffici stampa, lookbook che possono servire anche per il riassortimento degli ordini sui loro siti.
Tantissime aziende, anche medie e piccole, che fino a poco tempo fa non privilegiavano la vendita online, la consideravano quasi un obbligo un po’ così, da fare per per necessità ma con poca voglia, adesso si stanno rendendo conto che è fondamentale avere, appunto, una proposta gradevole anche da questo punto di vista.
Quindi lo stylist cosa può fare? Può lavorare a fianco di stilisti, su uffici stile che ci sono anche nella nostra zona, poi ovviamente andare anche, uscire da questo ambito, e andare nel mondo, però anche partendo da qua, per esempio, lavorare con tantissime aziende che hanno necessità di creare cataloghi ed e-commerce adeguati, con un linguaggio moda contemporaneo e styling che ovviamente siano al passo con la contemporaneità.
In più c’è, appunto, un discorso di situazioni ed eventi particolari che riguarda, appunto, lo styling su persone.
Non necessariamente uno deve pensare a star dello spettacolo: esistono anche figure pubbliche di altro genere, esistono figure istituzionali, esistono industriali e persone, comunque, che in determinate situazioni richiedono la consulenza di qualcuno che gli possa garantire un’immagine adeguata a determinati contesti in cui si presentano.
Ci vediamo in una splendida sede che speriamo diventerà anche il set per alcune prove di styling da effettuare durante il corso, per esprimere la passione per la moda che, credo, ci accomuni tutti e che sarà così messa in risalto da degli styling che saranno sicuramente da ricordare.
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Corso Master
Sede: Torino
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Massimo Giacchino, Coordinatore del Master in Digital design, ci racconta come questo percorso formativo può dare una svolta alla carriera professionale in ambito Digital Marketing.
Massimo Giacchino, Coordinatore del Master in Digital design, ci racconta come questo percorso formativo può dare una svolta alla carriera professionale in ambito Digital Marketing.
sul Master in Digital Design di IAAD.
Ciao, sono Massimo Giacchino, sono un Digital Strategist per grandi aziende ed e-commerce: oggi sono il Coordinatore del Master in Digital Design e cercherò di trasmetterti tutta la mia passione e competenza all’interno del Master.
Perché fare il master in Digital design in IAAD. qui a Bologna?
È un master che si differenzia da tutti gli altri master in marketing in quanto è estremamente operativo: ci sono 400 ore d’aula divise in tre fasi.
Nella prima fase vediamo le basi solide di marketing, di ragionamento: partiamo da che cos’è il marketing, dal Brand all’immagine coordinata, vediamo tutti i social…nella seconda parte andiamo a sviluppare in aula, in laboratorio, i contenuti, quindi foto, testi e video che però non siano solo belli ma che siano utili e rilevanti per le persone, quindi progettiamo contenuti in base ai dati; nella terza fase mettiamo a terra tutto quanto in strategia di marketing operativa, quindi vediamo come utilizzare Facebook, LinkedIn Ads e Google Ads.
Quindi è un master che a 360° ti porta da zero a capire come progettare, gestire e coordinare una strategia di marketing online.
Il master è rivolto a tutte quelle persone che vogliono capire esattamente come funziona il marketing, come progettare una strategia basata sui dati, quindi è rivolto sia a neolaureati ma anche a persone neodiplomate che però hanno una forte visione al marketing e vogliono essere professionisti sia strategici che operativi.
Questo perché è ciò che cercano le aziende oggi: non vogliono più persone che sanno solo usare uno strumento ma che soprattutto siano in grado di ragionare che se esce il nuovo ChatGPT sanno come utilizzarlo.
In oltre 400 ore di Master, qual è il metodo che accomuna le varie materie?
Il fatto che è estremamente operativo: ci sarà sempre e comunque ogni giorno una parte di lezione teorica, un’oretta per vedere, diciamo, il ragionamento strategico, perché stiamo facendo una cosa, perché dobbiamo utilizzare questo strumento, ma poi tutti i docenti sono professionisti e manager che ti portano in campo la loro esperienza e ti chiedono, dopo aver svolto delle case history, di lavorare, di elaborare tu la strategia e di metterti in gioco.
La sfida più grande è sviluppare poi progetti finali che davvero le aziende chiedono, e sono due:
Quindi avrai un sito web da girare, un link da girare ai clienti, per farti conoscere.
Se la tua forte motivazione è quella di diventare un professionista del Digital Marketing, siamo il master giusto perché partiamo dalle basi di marketing e finiamo per progettare un funnel completo, quindi dalla A alla Z.
Non c’è bisogno di conoscenze pregresse perché facciamo tutto in aula in oltre 400 ore.
Se il nostro Master ti ha incuriosito e rispecchia le tue aspettative ci vediamo in aula!
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Andrea Bozzo, Coordinatore del corso triennale in Communication design in IAAD. ci racconta le caratteristiche del percorso di studi, con un focus sui profili a cui è rivolto e le professioni in uscita.
Andrea Bozzo, Coordinatore del corso triennale in Communication design in IAAD. ci racconta le caratteristiche del percorso di studi, con un focus sui profili a cui è rivolto e le professioni in uscita.
sul corso in Communication design in IAAD.
Mi chiamo Andrea Bozzo: sono il coordinatore del corso di Communication design dello IAAD. di Torino e da 30 anni faccio il grafico, il director, l’illustratore e anche il vignettista.
Perché Communication design oggi è la sorgente di qualsiasi relazione si voglia avere tra persone e tra aziende.
Imparare la comunicazione però sembra un paradosso, perché tutti comunichiamo ma pochissimi conoscono le regole della comunicazione, e si rischia quindi di non riuscire a raggiungere il proprio destinatario.
Costruire percorsi di comunicazione vuol dire questo: padroneggiare le tecniche e la costruzione di relazioni legate al mondo.
Perché abbiamo un approccio che è legato a un’attenzione al contesto e a quello che succede che va al di là della singola tecnica comunicativa: cioè, la comunicazione si basa e si ciba e si nutre di quello che ci sta attorno, è lì che si innesta il nostro modo di comunicare.
Noi facciamo una grande attenzione a non diversificare il mondo della comunicazione con quello che c’è fuori, con quello che c’è tra le strade, perché è lì che la comunicazione germoglia.
Torino è una piazza storicamente importantissima del mondo della comunicazione, del mondo del design: basti pensare a Novarese, basti pensare ad Armando Testa, basti pensare a tutte quelle realtà che hanno fatto la storia della comunicazione, del design, in Italia.
Questa ricchezza, queste eredità in qualche modo ce l’abbiamo, in qualche modo fa parte di noi, e la vediamo e la respiriamo in tutta la nostra città, in tutta una serie di esperienze che viviamo quotidianamente.
IAAD. nasce nel ’78 con Trasportation; poco dopo arriva Communication.
In tutti questi anni abbiamo sviluppato e affinato un metodo che ci ha permesso sempre di rimanere in contatto con il territorio, perché il contatto e la relazione, come dicevo prima, fa parte della natura stessa della comunicazione.
Beh, se la comunicazione, che per noi è alla base delle relazioni, è chiaro che la relazione tra studenti, tra docenti e studenti, tra istituzioni, studenti e docenti, diventa fondamentale per fare qualsiasi tipo di progetto di comunicazione.
Questo vuol dire che la comunicazione, se si basa sulle relazioni, si basa sulle relazioni tra le persone, per cui tra gli studenti, con i docenti, con IAAD. ma anche con il contesto, quindi la grande differenza che ci può essere nel nostro corso é questa: questo rapporto dialettico con tutto quello che ci sta attorno, che è esattamente la natura stessa della comunicazione.
Il corso di Communication è rivolto a tutti gli studenti che arrivano dalle scuole tradizionali: grafica, licei artistici, ma anche da tutte le scuole umanistiche, i licei ad esempio, che hanno in sé la capacità e la voglia di raccontare delle storie.
La paura di chi non ha seguito un corso di scuola superiore di questo ambito è di non avere gli strumenti per affrontare la comunicazione, perché si ha un’idea della comunicazione ancora legata a un mondo analogico, legata molto alla manualità, per cui saper disegnare, per cui saper costruire un progetto di comunicazione o se volete un esecutivo a mano.
Oggi non è più così: è chiaro che è molto più importante il pensiero che non la manualità; la manualità è stata sostituita dai computer.
Il taglio che ho cercato di dare, da coordinatore, a questo corso è figlio delle cose che ho detto prima, cioè la relazione con il contesto, per cui un’attenzione a tutto quello che è successo, che succede attorno a noi, l’attenzione alle persone: ogni persona è diversa, ogni persona ha un suo percorso, ogni persona ha bisogno di capire cosa vuole fare e ogni persona dei tempi diversi.
Questo vuol dire che non c’è un progetto educativo standardizzato ma che c’è un dialogo continuo con ogni persona, e ogni persona, ogni studente da noi è uno studente in formazione, quindi non è finito, quindi bisogna accompagnarlo.
In quest’ottica, quindi, il taglio che possiamo dare è un taglio educativo.
Si cerca di imparare a fare le cose.
Il primo passaggio è sempre imparare a fare le cose, allora come si impara nel nostro mondo? Si imparano i software: la suite Adobe, Illustrator, InDesign, Photoshop, e poi le regole base della comunicazione visiva, insieme e accompagnate alle regole base della comunicazione orale o della comunicazione scritta.
Un altro tema per noi importante è cosa è successo prima, per cui c’è anche un passaggio di storia di quello che è successo prima, dei grandi designer del passato, perché conoscere quello che succede, quello che è successo prima, ci permette di vedere e di inventarci cose nuove del futuro.
Il secondo anno è l’esplorazione di sé: ogni creativo ogni persona che fa un lavoro creativo ha bisogno di cominciare un dialogo con se stesso, e allora bisogna imparare a conoscersi.
Imparare a conoscersi per un design vuol dire imparare a dialogare se stesso e con la propria creatività: il secondo anno c’entra molto su questo e c’entra anche col bisogno di sbagliare.
Bisogna imparare a liberarsi dal terrore di sbagliare: bisogna imparare a divertirsi sbagliando perché attraverso lo sbaglio si impara e si cresce nel fare le cose.
Il terzo è l’anno della consapevolezza: nel terzo anno siamo pronti per andare nel mondo, siamo pronti per cercare di trovare la nostra strada nel mercato come professionisti, per cui dopo aver imparato a fare le cose, dopo aver imparato a sbagliare e a dialogare con se stessi, si mette la concretezza al primo posto.
Tutte queste cose qua ci aiutano a costruire un progetto di design che sia spendibile nel mondo del lavoro.
I progetti che vengono sviluppati durante il corso degli anni sono progetti legati a tutti gli ambiti di comunicazione di cui abbiamo parlato: possono essere progetti di marketing, possono essere progetti di grafica editoriale, progetti di comunicazione commerciale, come possono essere dei video, a seconda della materia, a seconda della richiesta del nostro cliente.
I nostri clienti sono in genere medie e grandi imprese, o associazioni che si occupano di bene comune.
Mi piace ricordare in questi ultimi anni alcune imprese con cui abbiamo lavorato per i progetti che siamo riusciti a sviluppare, tra cui uno di quelli a cui sono più affezionato, quello della Montenegro, perché era una campagna sociale sul bere responsabilmente per i ragazzi più giovani: i progetti che sono emersi sono stati non solo molto efficaci, sono stati anche molto divertenti, offrendo così un valore aggiunto all’impresa e senza cadere nel paternalismo di queste campagne.
I profili in uscita del nostro corso variano dal classico grafico che conosciamo tutti, il Graphic Designer, al Web Designer, che fa i siti o le app che oggi utilizziamo tutti, così come l’Art Director, che può essere di pubblicità, o di giornali o riviste, case editrici, il copywriter, che è quello che scrive testi, così come può lavorare negli ambiti del Marketing, dei social media o della strategia, che è ancora un altro ambito più vasto e che va molto oggi nelle richieste delle nostre aziende.
Le competenze che si sviluppano in questi tre anni sono competenze sempre in movimento perché il mercato è sempre in movimento.
Dall’immaginazione di una rivista, di un libro, di un giornale o di una campagna pubblicitaria allo scrivere degli slogan o fare una comunicazione efficace si affiancano anche cose nuove che prima magari non c’erano, ad esempio usare i social per una comunicazione efficace, usare video o immagini dagli smartphone perché diventano una nuova cifra di comunicazione: ecco, quello che è interessante e quello in cui noi crediamo molto rispetto al nostro corso è questo affiancamento tra le forme classiche di comunicazione, a cui tutti siamo abituati, insieme a forme nuove che magari ancora non esistono ma che esisteranno fra uno, due o tre anni.
Perché ho deciso di insegnare?
Perché non son da solo: perché vivo in un territorio vivo, in una situazione, in un contesto in cui la trasmissione dei saperi è fondamentale per crescere e per far crescere quello che c’è attorno.
Si diceva una volta “impara a fare bene le cose e insegnale agli altri”: io ci credo molto.
Insegnare agli altri e non è solo un’esperienza vitale, è anche una responsabilità, una responsabilità nei confronti del mondo in cui vivi e soprattutto insegnare e imparare, perché ovviamente è anche una strada a doppio senso, ti permette di sviluppare quelle relazioni che sono alla base della comunicazione, come dicevo prima.
Da dove traggo ispirazione?
Da tutto, mi viene da dire: dalle serie TV, dai libri, dalle riviste, da quello che guardo intorno, dagli studenti, dai miei colleghi che insegnano…perché fare oggi comunicazione vuol dire essere una spugna, assorbire per rielaborare.
Una volta si prendevano dei libri, si studiavano e si applicavano quelle cose lì: oggi è molto più esaltante, e anche molto più ampio, e a volte bisogna prendere tutto e rilanciarlo e ripensarlo e ridisegnarlo e riscriverlo secondo la propria sensibilità.
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Sede: Torino
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Dario Olivero, Coordinatore del corso triennale in Transportation design in IAAD. spiega le opportunità offerte dal percorso di studi, evoluzione del primo corso erogato dalla sede torinese dell’Istituto, che aveva il nome di Architettura della carrozzeria.
Il corso, rivolto a persone creative con talento e passione per il mondo dei trasporti, è un’opportunità per entrare nella community dei car designer e avere una carriera di successo nel settore automotive.
Dario Olivero, Coordinatore del corso triennale in Transportation design in IAAD. spiega le opportunità offerte dal percorso di studi, evoluzione del primo corso erogato dalla sede torinese dell’Istituto, che aveva il nome di Architettura della carrozzeria.
Il corso, rivolto a persone creative con talento e passione per il mondo dei trasporti, è un’opportunità per entrare nella community dei car designer e avere una carriera di successo nel settore automotive.
sul corso in Transportation design in IAAD.
Sono Dario Olivero, sono il coordinatore del corso di Transportation design in IAAD., sia triennale che Master.
Un corso in Transportation design permette di lavorare nell’industria automobilistica dei trasporti e della mobilità.
Un corso in Transportation design perché IAAD. dal 1978, con il corso in “Architettura della carrozzeria” insegna i rudimenti di quello che oggi è Transportation design, ed è per questo che IAAD. rimane un polo d’eccellenza nell’ambito dell’automotive e del Transportation design.
Studiare qui in IAAD. in Transportation design permette di accedere a una community enorme di Car Designers e Transportation Designer perché, grazie alla nostra città che ci ospita, Torino, una delle più grandi comunità nel mondo dell’automotive del mondo, ci permette, appunto, di erogare dei servizi e dei corsi cuciti su misura proprio per questo settore.
Questo corso è unico perché, in primis, siamo sempre all’avanguardia con le nuove tecnologie, i nuovi software e i nuovi metodi che si utilizzano direttamente nell’industria automobilistica, e ci stiamo affacciando anche allo sviluppo di automobili nel metaverso, quindi nel mondo digitale, che ci permette di essere molto più veloci sia nel metodo di insegnamento che con le aziende con le quali sviluppiamo i progetti in partnership.
Il corso è rivolto principalmente a creativi con talento e con una grande passione per il mondo delle automobili, delle mobilità e del trasporto in generis.
È richiesta una grande dedizione e una grande passione che ci permetterà, vi permetterà di sviluppare quelli che sono i mezzi di trasporto del futuro.
Il taglio che è stato dato al corso in Transportation design con il direttore strategico è quello di creare dei profili che noi definiamo 3D designer: sono delle persone che sono in grado di disegnare a mano, in digitale, ma anche di sviluppare la propria proposta in 3D fino al mondo del metaverso.
Quindi un designer che sia competente sotto tutti gli aspetti necessari al mondo dell’automotive, che sia quindi indipendente, che possa dare un supporto all’interno di Centri Stile o Centri di Ricerca e Sviluppo sotto tutti gli ambiti: creativo, concettuale, di sviluppo 3D, animazione e rendering.
Tra i tanti treni trattati nel corso mi sento di sottolineare principalmente 6 macro gruppi: il principale, il primo, è la creatività legata al disegno, per poi passare a interni ed esterni che compongono un veicolo o un’automobile o un mezzo di mobilità, per poi passare al mondo dello sviluppo 3D, con diversi software sia in poligonale che più tradizionali, poi il mondo del materiale e delle finiture, e in ultimo il mondo dell’animazione, quindi della computer grafica e legato anche il metaverso.
I progetti sviluppati all’interno del corso per tutte le tre tipologie, tesi individuali, tesi di gruppo e progetto speciale, vengono sviluppati in partnership con aziende a livello mondiale.
Ultimamente abbiamo lavorato con aziende come Ducati, Pininfarina, Kawasaki, Brembo e, ad esempio, Land Rover: sono tutte aziende di prim’ordine, le quali ci danno un brief reale dove gli studenti sono chiamati a sviluppare quelle che sono le sfide future di ogni azienda.
I profili in uscita sono ampi, sono vari.
Come dicevamo prima, in base ai 6 pilastri sul quale il corso si fonda, ci sono designer che sono più portati alla creatività, quindi possono avere un apporto nei centri stile sotto il punto di vista di creatività, di disegno di interni ed esterni.
Ci possono essere dei designer che si appassionano di più al mondo della visualizzazione e quindi possono creare delle immagini e delle ambientazioni di altissimo livello visivo, come il mondo del 3D: quindi potremmo dire dei modellatori 3D sempre legati, però, alla creatività o al tecnicismo, tema molto importante soprattutto nel mondo degli interni, e il mondo dei materiali e delle finiture, quindi CMF.
Le competenze sono molteplici, perché vanno dalla creatività alla concettualizzazione, alla ricerca, allo sviluppo del 3D, allo sviluppo di rendering, fino allo sviluppo di un modello 3D della proposta di interni ed esterni: infatti i profili in uscita legati al corso di Transportation design, come le competenze, sono molteplici, quindi può succedere che un designer possa sviluppare tutte queste competenze all’interno di un Centro Stile, o le singole, quindi essere un creativo, essere una persona che si occupa dei rendering o del mondo del 3D o dei materiali e finiture.
Come ho già detto prima la passione è fondamentale per affrontare un corso in Transportation design.
La passione per la creatività, la passione per il disegno, la passione per l’automobile e anche la mobilità: questo vi permetterà di affrontare tre anni molto intensi e ricchi di contenuti.
Ho deciso di insegnare principalmente per la passione: la passione per la formazione, la passione per il mondo del dell’automobile, anche perché è bello il confronto con giovani talenti e soprattutto aiutarli a fare emergere quello che è il loro potenziale e la loro visione.
Se sei appassionato e vuoi lasciare un’impronta nel mondo dell’automotive ti aspetto al corso di Transportation design per far emergere le tue capacità!
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Francesca Grignolio, Coordinatrice del corso triennale in Digital Communication design in IAAD. ci racconta le caratteristiche del percorso di studi, con un focus sui profili a cui è rivolto e le professioni in uscita.
Francesca Grignolio, Coordinatrice del corso triennale in Digital Communication design in IAAD. ci racconta le caratteristiche del percorso di studi, con un focus sui profili a cui è rivolto e le professioni in uscita.
sul corso in Digital Communication design in IAAD.
Mi chiamo Francesca Grignolio: sono nata come designer di progetti di comunicazione e di formazione per le grandi aziende e continuo essenzialmente a fare quello, cioè a progettare ed erogare contenuti che possono essere divulgativi, di formazione, di intrattenimento dedicati al mondo delle grandi aziende, delle grandi organizzazioni, delle multinazionali, e direi che sin da subito la grande sfida del mio mestiere è stata quella di utilizzare, abbracciare e capire tutte le nuove tecnologie per riuscire a fare al meglio questa attività di, divulgazione, formazione e comunicazione.
L’insegnare in qualche modo è sempre stato un pezzo del mio mestiere perché l’ho sempre fatto, appunto, con gli adulti, perché di fondo quello che faccio è cercare di dipanare fili, di rendere più semplici le cose complicate: ho scelto poi di insegnare anche ai ragazzi, che era una cosa nuova per me, quando ho incontrato IAAD. e quando ho iniziato a scoprire che c’era un altro pezzo di mondo molto interessante, affascinante, a cui raccontare, con cui confrontarsi, chiacchierare, scoprire cose.
Il corso di Digital Communication design nasce essenzialmente dall’intuizione, ma diciamo che era ovvia per chi lavora, insomma, nel mondo della comunicazione, che le cose stessero cambiando: stavano cambiando in un modo esponenziale pazzesco, veloce, e questo succede ancora oggi, per cui ci si è detti che era importante iniziare a introdurre tutto il pensiero del design dedicato a quello che è Digital.
E Digital è una parola grossa che contiene un sacco di cose: i social e i siti sono qualcosa che in qualche modo fa parte anche di tutti i percorsi legati per esempio a Communication, ma in Digital quel che succede è che cerchiamo di espandere e cerchiamo di scoprire quante cose che hanno a che fare col virtuale, col digitale, possono aiutarci ad essere più forti nel nostro mestiere di creativi e Designer.
Consiglierei di studiare qui in IAAD. perché è un posto pienissimo di energia: succedono un sacco di cose belle, c’è una specifica situazione per cui non si è mai soli e si costruiscono reti, e le reti sono tra studenti, tra studenti del proprio corso e degli altri corsi, ma soprattutto con gli insegnanti che sono super esperti, professionisti che arrivano dal mondo reale e coi quali si costruisce un qualche cosa che dura anche dopo.
Quindi secondo me ci sono una serie di occasioni che sono imperdibili, al di là poi della densità dei contenuti, dell’insegnamento, delle occasioni anche extra, però essenzialmente la rete fortissima che si crea che è un elemento importantissimo in questo mondo oggi.
Perché Torino è il luogo dove, insomma, per farla un po’ anche come dire, per motivarci tutti, il luogo dove nascono cose, dove succedono un sacco di cose, dove anche il mondo della pubblicità, della comunicazione, ha mosso i suoi passi e poi si è esteso in tutta Italia, ed è il luogo dove ancora succedono un sacco di cose, dove ci sono ancora una serie di realtà interessanti e importanti.
Per chi si interessa a questo mondo è un luogo dove l’innovazione tecnologica e digitale comunque è presente e forte, e la particolarità di IAAD. è che fin da subito ci mette in contatto con queste realtà, quindi con aziende, con organizzazioni, con enti, con situazioni in cui mettersi alla prova davvero, quindi il tessuto in cui siamo immersi è un tessuto che ci consente di metterci alla prova fin dal primo giorno.
È forse il più trasversale, nel senso che le competenze legate al Digital, al virtuale, alle nuove tecnologie, sono un qualche cosa che serve ovunque, e in qualche modo chi inizia a immaginare percorsi, soluzioni, situazioni in cui il digitale è importante e forte e immerso nel mondo di oggi, nei cambiamenti di oggi, e la comunicazione per di più, che poi lo specifico ambito in cui il Digital si declina da noi, è una comunicazione che non può più vivere senza un elemento che è sempre quello virtuale, e quindi questo mix di digitale e di fisico, di conoscenza, di possibilità, è un qualche cosa che è specifico e unico del nostro corso.
Il corso di Digital Communication design è rivolto essenzialmente a tutti coloro che vorrebbero in qualche modo appassionarsi, conoscere di più tutto ciò che sta capitando nel contesto digitale: videomaker, le persone che vogliono imparare a progettare e sviluppare app, le persone che vogliono immaginare di essere parte di cambiamenti e cose nuove che succedono.
Gli eventi, per esempio, gli eventi phygital che sono un qualche cosa che in qualche modo stiamo iniziando a esplorare oggi: c’è la possibilità di essere immersi in esperienze che sono sì di comunicazione, ma sulle esperienze a 360 gradi in cui tutti i nostri sensi sono colpiti e in cui siamo capaci di disegnare e immaginare e progettare un qualche cosa di unico, di spettacolare, per passare i nostri contenuti.
Per noi prerequisito essenziale è la curiosità, la capacità di di interessarsi a cosa succede fuori, a cosa succede fuori inteso sia dal punto di vista di innovazioni, trend, cose che capitano ma anche soprattutto dal punto di vista culturale: dove siamo, cosa sta capitando, che cosa è interessante raccontare, come lo vogliamo raccontare.
Per quanto riguarda invece prerequisiti tecnici vi direi che no, non servono: l’importante è arrivare con la voglia di fare, sbagliare, riprovare e imparare.
Rispetto al taglio che cerchiamo di dare in Digital Communication design, e quindi che in qualche modo cerco di interpretare, direi che ci sono una serie di elementi.
Il primo è sicuramente che secondo me questo è un percorso appassionante, affascinante, divertente, quindi il tentativo mio e di tutti i nostri docenti è trasferire il fatto che siamo in uno spazio, in un’area che è piena di possibilità, molte persone, un elemento fondamentale.
L’altro elemento è il cercare di non ridurlo essenzialmente a una dimensione tecnica, perché il Digital è un cambiamento costante: quello che imparerete il primo anno fra 4 anni probabilmente non esiste più o cambia, e quindi il saper fare collegato al saper pensare tantissimo; imparare a usare dei software sì, ci serve per capire le logiche, ma non è quello che ci fa diventare forti che ci fa diventare dei designer.
Terzo punto, in qualche modo, è il fatto che l’approccio da designer, cioè da persone che immaginano le cose secondo un filo rosso, da un inizio a una fine, caratterizza sia quello che vorremmo che i nostri ragazzi imparassero a fare ma sia il modo con cui vorremmo lavorare noi, e quindi abbiamo tutti in mente molto chiaro che accompagniamo le persone da un punto A ad un punto B.
All’interno del percorso che si articola in tre anni direi che succedono tre cose diverse, a salire.
Il primo anno si imparano cose: il nostro corso si chiama Digital Communication design ma la parola Communication è quella più importante; il primo anno quindi si impara, per esempio, cosa vuol dire comunicare, cos’è il mondo della pubblicità, dell’Art Direction, ma anche si inizia ad annusare che cosa succede nel mondo esterno, quindi per esempio la storia del Digital e tutti gli elementi che iniziano a consentirci di essere consapevoli di dove siamo e di iniziare a saper fare delle cose senza le quali poi non si può crescere.
Il secondo anno succede che aggiungiamo la dimensione della progettualità del design, inteso in questo senso e quindi al di là delle materie: quello che succede è che le persone si cimentano con dei progetti veri dall’inizio alla fine, spesso progetti reali, ma comunque l’approccio è progettuale.
Da noi l’ossatura più importante, direi, è dedicata al tema della User Experience, della User Interface, perché ci aiutano a ragionare di quello che ci raccontavamo, l’importanza di creare esperienze memorabili, interessanti e di valore; affianco a questo ci sono tutta una serie di altre materie che hanno a che fare adesso sì in modo profondo con il Digital, quindi i siti, le app, i suoni, gli eventi eccetera eccetera…
Queste cose si continuano a scoprire, approfondire, anche nel terzo anno, in cui in qualche modo quel che succede è che si aggiunge l’ultimo tassello che ci fa poi uscire nel mondo esterno, e l’ultimo tassello ha a che fare con il mondo fuori, la curiosità per il mondo fuori: c’è un corso in particolare che si chiama Digital Visions che ragiona di che cosa sta per succedere, cosa succederà, in che mondo saremo immersi, quante cose dobbiamo continuare a riuscire a imparare.
In questo senso però anche l’esperienza della tesi, dei progetti individuali, di tutto ciò che in qualche modo fa parte del percorso dei tre anni, è un’occasione per uscire poi fuori, insomma, il più preparati possibile a continuare a imparare, essenzialmente.
Rispetto ai progetti, alle cose reali con cui ci misuriamo, nel corso degli anni abbiamo incontrato un sacco di brand, di realtà diverse.
Penso a Sky con il quale abbiamo dovuto immaginare un ecosistema intero di offerta digitale per renderli ancora più attrattive, attraenti, rispetto ad altri competitor.
Penso a Martini con il quale abbiamo ragionato di come rendere virtuali delle esperienze museali, delle esperienze legate a cose molto fisiche che poi dovevano diventare invece più virtuali.
Altro esempio è Volkswagen Veicoli Commerciali con i quali abbiamo provato a giocare, a costruire un’offerta, una soluzione legata ai social, ma in particolare a TikTok, che è un social che è molto interessante ultimamente, e per il quale abbiamo costruito proprio un piano editoriale, ma non solo: abbiamo costruito proprio una visione rispetto a come questo Brand poteva sbarcare sul social fino ad ora mai utilizzato.
Rispetto alle competenze che sviluppano i ragazzi nel corso dei tre anni direi che ci sono innanzitutto delle competenze tecniche: impariamo a usare dei software, degli strumenti, impariamo a sviluppare dei siti, delle app, iniziamo a conoscere come funziona per esempio la realtà virtuale, visore eccetera eccetera…
Poi ci sono delle competenze di design molto forti, legate in particolare a tutto ciò che per noi è la User Experience, la capacità di partire da ciò che veramente le persone hanno bisogno di fare rispetto ad esempio a un sito in cui si devono muovere, un ambiente immersivo in cui devono agire, e grazie a questa analisi, grazie a queste competenze riusciamo a creare delle soluzioni che sono il più adatte possibile.
Ci sono poi tutta una serie di competenze collaterali che molto sono legate alle passioni delle persone, nel senso che noi iniziamo a raccontare, a suggerire mondi possibili: penso a tutto il tema del sound, a tutto il tema del video, tutto il tema legato a ciò che ha a che fare con l’Art Direction, la Digital Art Direction, che sono competenze che vengono instillate nei ragazzi e che poi ognuno di loro sceglierà di approfondire o meno in funzione anche di quello che vorrà essere il loro percorso successivo.
Faccio una premessa: in realtà, soprattutto per noi, parlare di profili professionali è sempre un po’ difficile, perché i nomi, le etichette, cambiano costantemente, però se dovessimo dire, di sicuro da noi escono Videomaker, escono Digital Strategist o Digital Creative, escono UX Designer, UI Designer, escono tutte le persone che hanno per esempio volontà di lavorare nel campo della Digital Art Direction, e anche coloro che hanno in qualche modo una sensibilità rispetto a tutto ciò che è la progettualità che ci sta intorno, quindi Digital Project Manager, Account eccetera eccetera…
Personalmente in questo momento la mia curiosità è attratta da tutto: siamo in un momento in cui dal punto di vista sociale, economico, per tutto quello che sta capitando intorno non si può non stare con le orecchie aperte, con lo sguardo curioso, perché il mondo sta cambiando, sta cambiando da un po’ e sta cambiando in modo sempre più veloce, e noi ci siamo immersi e sono molto curiosa di capire cosa succede.
Questo vuol dire, per esempio, leggere libri, andare al cinema, andare a vedere la Biennale, ma vuol dire soprattutto cercare di intercettare cosa sta capitando di nuovo, cosa pensano le persone, e in questo senso è una curiosità che è costante, continua, e che secondo me è la chiave reale anche per chiunque voglia fare questo mestiere, voglia approcciarsi a questo contesto: il cercare sempre di chiedersi cosa diavolo sta succedendo, perché voglio saperne di più, voglio conoscere meglio quell’artista, quel movimento, quella situazione che sta esplodendo, e quindi non è una curiosità settoriale, specifica per temi, ma è una curiosità rispetto al mondo, che poi è quella che dà l’ispirazione.
Spero di avervi incuriosito abbastanza, avervi interessato, avervi appassionato, e per chiunque ne volesse sapere di più l’invito è quello di andare a vedere sul sito, insomma, un po’ più di informazioni, e di contattare il nostro Ufficio Orientamento per poter approfondire meglio tutti gli aspetti legati al piano di studi, a che cosa succede, come funziona.
Da parte mia spero davvero di incontrarvi presto!
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DESIGN PROGRAMS
Walter Nicolino, Coordinatore del corso triennale in Interior design in IAAD. ci racconta le caratteristiche del percorso di studi, con un focus sui profili a cui è rivolto e le professioni in uscita.
Walter Nicolino, Coordinatore del corso triennale in Interior design in IAAD. ci racconta le caratteristiche del percorso di studi, con un focus sui profili a cui è rivolto e le professioni in uscita.
sul corso in Interior design in IAAD.
Buongiorno, sono Walter Nicolino, coordinatore del Dipartimento di Interior design: dal 2015 ho un corso presso lo IAAD. e dal 2017 coordino il Dipartimento di Interior design.
Un corso di Interior design è una straordinaria chiave per comprendere un aspetto che, diciamo, caratterizza tutti, che è quello del vivere in un ambiente e quindi avere a che fare con oggetti d’arredo e con spazi che quotidianamente viviamo e con cui veniamo a contatto.
Da questo punto di vista siamo molto fortunati di essere in Italia perché l’Italia ha una tradizione credibile sul progetto d’interni e quindi il nostro dipartimento di Interior design si inserisce in questo solco, cercando chiaramente di reinterpretarlo in chiave contemporanea.
Studiare questo corso in IAAD. permette una duplice, diciamo, possibilità: la prima è quella di accedere a una comunità molto vasta, una sorta di piattaforma che è formata da vari dipartimenti, quindi i nostri cugini in Communication design, Transportation design, Product design, Fashion & Textile design, Innovation design…questi dipartimenti creano un gruppo in cui c’è un grande interscambio di idee e di opinioni, con progetti interdipartimentali.
L’altro aspetto è che all’interno del Dipartimento di Interior design sono stati selezionati, sono stati coinvolti, docenti che hanno un taglio molto contemporaneo rispetto alla disciplina e quindi frequentare, appunto, il triennio in interior design permette di formarsi con queste figure professionali che stanno fornendo un loro contributo alla disciplina nel mondo professionale.
Il corso di Interior design è caratterizzato da un tema principale, che è quello dello spazio e la progettazione della qualità degli ambienti: lo facciamo attraverso vari argomenti, che sono quello teorico, quello rappresentativo, quello della tecnica e quello del progetto.
I docenti che sono coinvolti all’interno del corso di Interior design sono professionisti che hanno una presenza nel mondo professionale riconosciuta e quindi gli studenti lungo i tre anni del corso sono affiancati da figure di questo tipo; l’altro aspetto che caratterizza il nostro corso è quello di svolgere la maggior parte dei progetti con aziende in partnership, che seguono tutto il processo progettuale e portano gli studenti a misurarsi con una realtà del fare progettuale, che è molto simile a quella che troveranno una volta laureati all’interno del mercato.
Il lavoro a stretto contatto con aziende permette di affrontare vari temi del mondo della progettazione, quindi immaginiamo ad esempio temi legati al retail: abbiamo lavorato con il gruppo Rinascente, con Electrolux, con Lube, nell’individuare nuovi concept di spazi per i loro negozi; abbiamo lavorato su temi più visionari, ad esempio legati alla ricettività, in questo caso con The Student Hotel abbiamo lavorato sull’immaginare l’ospitalità temporanea nel 2050; abbiamo lavorato con nuovi concept di interni che riguardano gli store di Adidas e Benetton; abbiamo anche lavorato su tempi più rivolti al sociale, questi temi vengono spesso fuori dalle tesi individuali, c’è un nuovo filone, una nuova tendenza che guarda al terzo settore, quindi a tutto il mondo delle associazioni che sviluppano progetti a stretto contatto con gli studenti, che dimostrano grande sensibilità su queste tematiche.
I risultati sono piuttosto interessanti, quindi sono spazi che riguardano la cura, riguardano il contesto di persone fragili, riguardano servizi per i cittadini, e quindi sono temi che entrano prepotentemente nel nostro fare quotidiano e vivificano in un certo senso la nostra disciplina.
Questo corso è rivolto a chi voglia acquisire le competenze di base all’interno del progetto di interni: un aspetto che in Italia ha un una grandissima tradizione.
È rivolto chiaramente in primis a chi esce dalle scuole superiori e quindi vuole intraprendere un corso di primo livello universitario, ma è rivolto anche a chi dopo aver lavorato per un periodo oppure essersi formato altrove, ha voglia di approfondire questi argomenti e quindi entrare per un triennio nel favoloso mondo del progetto degli interni.
Il taglio che con il Direttore Strategico abbiamo dato a questo a questo corso riguarda tre aspetti fondamentali: il primo, quello centrale, è il progetto dello spazio e il cercare di mantenere sempre alta la qualità della progettazione, dello spazio; il secondo ha a che fare con il fare, quindi tutti gli aspetti che ruotano attorno alla matericità che c’è dietro un ambiente o un oggetto di arredo, quindi la filiera con cui questi materiali vengono immessi sul mercato e vengono selezionati dai progettisti, ma anche tutti gli aspetti che hanno a che fare con la digital customization, quindi l’utilizzo di tecnologie digitali per la fabbricazione di elementi per lo spazio o oggetti d’arredo; il terzo punto riguarda il sentire, e questo ha a che fare con il rapporto tra l’utente e lo spazio stesso, e quindi cercando di avere sempre in mente l’esperienza nello spazio, il comfort all’interno dello spazio stesso.
Per riassumere abbiamo spazio, fare, sentire, in inglese funziona meglio come gioco di parole: Space, Make, Sense.
Le principali materie all’interno del corso di Interior design si racchiudono in quattro gruppi principali: il gruppo della teoria, il gruppo della rappresentazione, quello della tecnica e quella del progetto.
Nel gruppo della teoria si ha a che fare con tutto ciò che riguarda il mondo dell’arte, la storia dell’architettura, la sociologia, la teoria della percezione, quindi tutte quelle argomentazioni e quelle teorie che devono fare da substrato al pensiero per il progetto degli interni.
Il secondo gruppo, quello della rappresentazione, punta a permettere agli studenti di rappresentare le proprie idee e quindi lavoriamo con modellazioni digitali, rappresentazioni video, schizzi a mano, modelli fisici, utilizzo di macchine a controllo numerico per realizzazione di modelli e progetto del verde.
Il terzo gruppo, quello della tecnica, punta chiaramente a dare delle regole per creare degli spazi confortevoli, quindi si ha a che fare con l’ergonomia, con la fisica per il design, con la geometria descrittiva e con, diciamo, la valutazione ambientale di un progetto.
Quarto aspetto, il quarto gruppo che è un po’ onnicomprensivo, è quello del progetto e utilizza gli altri tre appunto per immaginare nuovi ambienti in cui vivere.
Noi partiamo dalla considerazione che le competenze, e gli strumenti quindi, sono importanti perché liberano le idee, ma le competenze – e qui utilizzo una citazione da Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry – “Come fare quando devi costruire una barca, che non è sufficiente chiaramente andare a prendere chi realizza il materiale, eccetera”, ma lui dice che è importante far emergere la nostalgia del mare in chi lavora al progetto della barca.
In questo caso noi cerchiamo di fare una cosa simile: abbiamo tutti la coscienza per il nostro vissuto degli spazi, degli ambienti, dobbiamo però aggiungere un grado superiore durante questo corso di studi che è quello della consapevolezza di certi strumenti per poter intervenire nello spazio.
Sintetizzando, al primo anno ti insegna a vedere più spazio e quindi tutto ciò che sta attorno, al secondo anno si ha a che fare con il sentire, quindi mettere a contatto l’utente con tutto ciò che gli sta attorno, e al terzo anno c’è una sorta di sintesi, quindi si usa l’immaginazione, la connessione, per produrre progetti che hanno una certa articolazione, che permettono di concludere appunto il corso di studi.
Lungo tutto il percorso si allena la competenza nel raccontare uno spazio, un oggetto di arredo: finché non vengono realizzati non esistono, e quindi abbiamo questo gap da colmare che dobbiamo colmare con il racconto, quindi il racconto è uno degli aspetti fondamentali che affrontiamo in tutti e tre gli anni del corso.
I profili in uscita dal corso di Interior design sono l’interior designer, una figura a tutto tondo che può avere a che fare con una propria attività, quindi, dove svolgere consulenza; può essere consulente per aziende, quindi avere un rapporto diretto e anche interno alle aziende stesse; può fare il freelance, quindi può svolgere consulenza per altri studi che possono essere di architettura o di progetto di interni su aspetti specifici.
C’è poi una lunga carrellata, diciamo, di figure specifiche che caratterizzano la nostra disciplina: ad esempio il visual interior designer, chi si occupa di rappresentazione legata al mondo dell’interior design; il social interior designer, che è una nuova figura che sta emergendo in questi anni: chi si occupa appunto di progetti riferiti al terzo settore, quindi al mondo dell’associazionismo, ai luoghi della cura, alla grande attenzione verso un’utenza che spesso è un’utenza fragile; altre figure ad esempio sono quelle del maker interior designer, cioè colui che lavora con strumenti digitali di fabbricazione digitale e quindi mette a contatto, appunto, un fare artigianale analogico con un nuovo artigianato digitale che sta emergendo nella nostra disciplina.
Ho deciso di insegnare perché è un modo per ritornare ad imparare: non che non lo si faccia chiaramente durante la professione ma lo si fa in termini e condizioni differenti, quindi l’imparare in un processo di insegnamento è come ritornare a imparare in purezza, non essendo mediati dall’ordinario della professione, anche delle costrizioni della professione; l’altro aspetto è un aspetto di permettere anche di confrontare alcune visioni riferite alla disciplina con altre generazioni, che chiaramente in qualche caso le confermano e spesso, e per fortuna, le aggiornano e le rendono più contemporanee.
Bene, vi aspettiamo in IAAD. Ciao e a presto!
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Davide Negri, Coordinatore del corso triennale in Product design in IAAD. ci racconta le caratteristiche del percorso di studi, con un focus sui profili a cui è rivolto e le professioni in uscita.
Davide Negri, Coordinatore del corso triennale in Product design in IAAD. ci racconta le caratteristiche del percorso di studi, con un focus sui profili a cui è rivolto e le professioni in uscita.
sul corso in Product design in IAAD.
Sono Davide Negri, coordinatore del Dipartimento di prodotto.
Mi occupo da circa vent’anni di prodotto con lo studio che rappresento.
Di formazione sono architetto, quindi ho una matrice piuttosto pragmatica: questo fa sì che in qualche modo tenti di trasportare questo approccio pragmatico a quello che è il dipartimento di prodotto, perché oggi credo che sia di fondamentale importanza avere un contatto reale con quella che è la componente scientifica e tecnica nello sviluppare un oggetto, coadiuvata da una componente di tipo poetico.
Scegliere un dipartimento e un indirizzo di prodotto oggi significa avere uno sguardo ruotato alla flessibilità di pensiero, e flessibilità e versatilità progettuale.
Fare prodotto oggi significa avere uno sguardo che è capace di intravedere strategicamente delle interpretazioni di vita che si declinano poi in prodotti che hanno una loro valenza commerciale rispetto a un mercato: anche quello che ci circonda, la formazione che all’interno di IAAD. adottiamo e seguiamo è mirata ad avere un metodo che consente di ottenere un prodotto sviluppato secondo diverse logiche che consentono poi di parlare la lingua che corrisponde a quella del mercato, e quindi essere contemporaneo in qualche modo.
Studiare prodotto in IAAD. credo che che sia una delle variabili per la quale ho scelto poi di insegnare, e nella fattispecie a me piace ricordare che in IAAD. la quasi totalità dei docenti è fatta da liberi professionisti, quindi persone che sono oggettivamente sul mercato e hanno un riscontro diretto di quello che è il loro operato su quello che è appunto Il campo e l’ambito in cui ciascuno lavora, da un punto di vista commerciale e di relazione con le aziende.
Questa relazione con le aziende pone lo studente già in una condizione di relazione relazionarsi con delle dinamiche che sono assolutamente verosimili rispetto a quello che veramente succede fuori: tutte le esercitazioni che si fanno hanno comunque una matrice di legame con quello che è il mercato e con quello che è il mondo reale delle aziende che producono, delle aziende che vendono.
Una delle discriminanti per scegliere IAAD. è la vicinanza al mondo reale che sta fuori: questo pone lo studente nelle condizioni di fare un esercizio di relazione, di dialogo con un interlocutore di diverso tipo che poi lo aiuta nell’avere già un lessico che gli consente in modo adeguato di relazionarsi alle aziende e agli interlocutori una volta usciti.
Ho deciso di insegnare in IAAD. per un motivo su cui rifletto ogni giorno che sono con gli studenti, che è lo scambio: a me piace tantissimo il fatto che oggettivamente non è unidirezionale, diciamo, la migrazione di contenuto reciproco, quindi in qualche modo questo scambio avviene ed è un continuo stimolarsi a vicenda.
Da un punto di vista mio quello che è utile è avere un riferimento da parte di una persona che è sul mercato e gli fa da ponte, diciamo, rispetto a certe esperienze che vengono citate durante i corsi; dall’altro punto di vista però a me interessa il loro sguardo assolutamente fresco nell’interpretare un certo tipo di soluzione per un oggetto, per un prodotto, per una necessità, e quindi in questo senso io per primo li lascio, soprattutto diciamo nella prima parte del percorso in IAAD., abbastanza liberi, perché io credo che sia prezioso quel tipo di contenuto da parte loro, e a me questo piace perché mi fa in qualche modo rimanere giovane da un punto di vista progettuale.
Il corso di prodotto io credo che in IAAD. abbia un plusvalore specifico nel rapporto con le aziende vero, quindi non solo durante il triennio.
Come già dicevo poco fa c’è uno sforzo che viene chiesto agli studenti nel calarsi nella realtà del gioco rispetto a quello che succede fuori, dal rapporto con i fornitori, con le aziende che producono, con le aziende che vendono, col mercato, ma c’è una possibilità concreta sempre maggiore di relazionarsi a delle aziende reali.
Il plusvalore vero io credo che sia questo, un valore che sfocia in quello che è il rapporto per la tesi con l’azienda, e in quest’ottica lo studente è chiamato non solo a sviluppare un esercizio di progettazione di un bene, ma di fatto viene in qualche modo sollecitato a parlare un linguaggio specifico da un punto di vista di brand identity, valore che viene considerato durante la progettazione: questo io credo sia fondamentale per parlare poi un linguaggio che viene universalmente riconosciuto una volta usciti da IAAD.
Lo studente ideale è quello che è interessato a innovare, quindi in qualche modo avere una visione innovativa dell’approccio al progetto, e mi vien da dire alla vita, perché poi di fatto si tratta di questo.
Come coordinatore tento di incastrare tutte le esperienze che si possono fare per far sì che il singolo studente maturi una propria identità progettuale.
In quest’ottica un’altra cosa che vorrei citare riguarda la scelta dei docenti, che vorrei che fosse il più possibile eterogenea: a me interessa molto che le lingue che si parlano in IAAD. siano veramente di diverso tipo; in questo senso il mio obiettivo è anche quello di ricerca di persone, dico persone non a caso, che riescano in qualche modo a trasmettere agli studenti questi questi valori.
Le competenze oggi sono davvero molteplici: un designer non può più limitarsi alla progettazione dell’oggetto, ma in realtà deve essere davvero bravo a trasmetterlo.
È sempre più frequente parlare con un interlocutore azienda e sapere che l’aspettativa è più di tipo narrativo che tecnico, quindi questo fa sì che comunque il focus da un punto di vista progettuale consideri anche – non solamente, ci mancherebbe, ma anche – l’aspetto di comunicazione della propria idea, che deve essere eseguita al meglio.
In questo senso gli studenti fanno, diciamo, diversi esercizi finalizzati ad amministrare il tempo e la capacità orale; nello stesso tempo devono essere molto bravi ad amministrare lo spazio bianco per comunicare nel poco tempo che tutti ormai abbiamo per capire se portare avanti un’idea o meno.
I profili in uscita sono diversi e possiamo andare da impieghi più vicini al prodotto, quindi un disegno tecnico piuttosto che una modellazione tridimensionale dell’oggetto, per andare poi verso direzioni invece più concettuali di direzione artistica piuttosto che in qualche modo di visione, dove quello che è l’obiettivo non è riconducibile per forza un oggetto ma può essere anche una linea guida di pensiero rispetto a un dato ambito, cosa che le aziende cercano sempre di più.
Ci sono diverse sfumature che portano poi ad avere impieghi di diverso tipo, più o meno specifici, quindi può essere che poi uno riesca a, diciamo, ad approfondire aspetti legati alla luce, piuttosto che aspetti legati all’ambito furniture, piuttosto che all’ambito in generale della trasversalità.
Nella sostenibilità citerei l’esperienza fatta con Decathlon: ci hanno chiesto di pensare al grande mondo dell’upcycling, che è un tema tanto interessante quanto delicato, perché la difficoltà principale dell’upcycling è giustificare in qualche modo il rimettere mano su un oggetto che è già stato prodotto e debba essere riutilizzato.
È un tema interessante perché chiaramente ha assolutamente una valenza da un punto di vista di impatto ambientale, ma va fatto a mio modo di vedere perché sia credibile fino in fondo, e in questo senso si sono identificate tre tipologie di oggetto specifico: un tavolo da ping pong, una tavola da SUP e una tenda, e in qualche modo lo studente era chiamato a rileggere e anche ricollocare da un punto di vista commerciale quello che era il progetto originario.
Il risultato è stato molto interessante, devo dire, anche apprezzato da Decathlon, perché si sono avute diverse interpretazioni che hanno ricollocato, a volte anche in ambiti commerciali totalmente differenti da quello prettamente sportivo proprio di Decathlon, gli oggetti rinati, per così dire, tant’è che in alcuni casi Decathlon ha considerato di portarli avanti come manifesto delle intenzioni all’interno di quello che è Decathlon stessa.
Alzarmi ogni giorno e pensare in qualche modo di dover inventarmi delle cose nuove, non avere una giornata tipo che mi obbliga ad avere sempre quella routine…io per questo potrei andare avanti assolutamente fino a quando campo, quindi bisogna avere questa cosa qua secondo me in questa professione, perché la gavetta è tanta, sicuramente fuori c’è un mercato molto competitivo, quindi bisogna essere in grado da un punto di vista di sapere maturare le competenze tecnico-scientifiche per arrivare a dimostrare oggettivamente, non soggettivamente ma oggettivamente, la propria idea, ma in seconda battuta ci deve essere la passione: vi deve proprio piacere questa disciplina per poterla fare con successo.
Io vi ringrazio e spero veramente che in qualche modo sia passato da un punto di vista così, empatico, l’amore che provo nel fare quello che faccio tutti i giorni, e spero possiate in qualche modo lasciarvi contaminare da questa passione e di vedervi in IAAD.
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Giuseppina Di Paola, Coordinatrice del corso triennale in Textile & Fashion design in IAAD. ci racconta le caratteristiche del percorso di studi, con un focus sui profili a cui è rivolto e le professioni in uscita.
Giuseppina Di Paola, Coordinatrice del corso triennale in Textile & Fashion design in IAAD. ci racconta le caratteristiche del percorso di studi, con un focus sui profili a cui è rivolto e le professioni in uscita.
sul corso in Textile and Fashion design in IAAD.
Sono Giuseppina Di Paola, coordinatrice e docente del corso in Textile & Fashion design in IAAD.
Mi sono occupata di design della moda, progettazione dei prodotti e delle collezioni, di ricerca tendenze nell’ambito del Wellness, del Beauty e in primo luogo del Fashion, di progettare prodotti innovativi legati all’ambito del Fashion ma relativi poi ad altri contesti o progetti più ampi.
Il corso in Textile and Fashion permette di comprendere la moda come fenomeno culturale, di analizzarlo con strumenti critici e di poter successivamente passare alla dimensione creativa: riuscire quindi a concepire i nuovi prodotti, ideare nuovi prodotti, e a comunicarli in modo innovativo e inedito.
Frequentare questo corso in IAAD. permette di avere un approccio multidisciplinare all’ambito del Fashion e permette di avere una formazione contemporanea, flessibile, dinamica e orientata all’innovazione.
Studiare Textile and Fashion in IAAD. permette di avere un approccio e una dimensione anche analitica multidisciplinare.
Questo corso si distingue dagli altri perché permette di passare da una fase di analisi ad una di progettazione tenendo in conto tutti gli strumenti logici che servono per passare dall’idea al progetto, e poi anche per la dimensione espressiva artistica che permette di comunicare il proprio progetto seguendo anche la propria attitudine, la propria passione, i propri interessi e le proprie aspirazioni.
Il corso è rivolto a chi ha una passione prevalentemente relativo all’ambito del Fashion, ma anche a chi ha un forte orientamento artistico, a chi vuole progettare nuovi prodotti che fanno parte non solo del contesto del Fashion ma soprattutto dello stile di vita e dei nuovi modi di consumare piuttosto che di comunicare.
Il taglio che ho dato al corso ha prevalentemente tre fasi.
Sono tre fasi che non vanno viste come strutturate in modo lineare ma sono circolari: da una fase si può ritornare a un’altra e farle interagire a seconda del momento di formazione e di apprendimento.
Abbiamo una prima fase analitica: grazie alle materie umanistiche siamo in grado di analizzare i fenomeni relativi alla moda, le tendenze, gli stili di vita e di consumo.
La seconda dimensione è quella progettuale, quindi vengono forniti gli strumenti legati appunto alla progettazione; sono strumenti logici, sono strumenti che creano una dinamica progressiva che porta dall’idea alla realizzazione del prodotto, dell’evento, e anche magari editoriali: campagne pubblicitarie rivolte alla sensibilizzazione rispetto ad alcune tematiche sociali rilevanti.
Il terzo elemento rilevante nel percorso formativo è quello espressivo, grafico, artistico, ma anche pratico: questa fase permette di comunicare costruendo un proprio linguaggio ciò che è stato oggetto di studio, rielaborazione e di proposta creativa.
Durante il percorso triennale affronteremo diverse tematiche e avremo un approccio multidisciplinare.
Le dimensioni antropologica, sociologica e di ricerca e tendenze ci aiuteranno ad analizzare la moda come fenomeno sociale; successivamente avremo poi una fase di elaborazione evocativa, concettuale, di ciò che va ad animare poi il progetto nelle fasi successive e poi andrà a condensarsi nel prodotto; successivamente apprendiamo gli strumenti per rappresentare in modo concreto, pragmatico, ciò che abbiamo ideato, dal prodotto all’accessorio alle stampe piuttosto che allo shooting, campagna pubblicitaria editoriale oppure un progetto addirittura di comunicazione e marketing, o un progetto con una dimensione artistica ed espressiva più libera.
Vengono sviluppati diverse tipologie di progetti: tesi individuali, tesi di classe e il progetto Fashion Graduate; facciamo parte del sistema piattaforma moda, un sistema che riunisce i più importanti istituti di formazione nell’ambito del Fashion, e durante la Fashion Graduate sfiliamo anche noi con le collezioni degli studenti.
Per ciò che riguarda le tesi individuale abbiamo affrontato tantissimi temi: dalla progettazione della collezione alla progettazione dell’accessorio, allo sviluppo di nuovi tessuti, alla progettazione delle stampe, a nuovi progetti legati agli Smart Tech Style e ai prodotti innovativi.
Abbiamo avuto committenti e sviluppato progetti nell’ambito dell’editoria con associazioni che si occupano di sensibilizzare rispetto ad alcune tematiche in questo momento importanti nell’ambito sociale e nell’ambito della generazione Z, che è quella di cui fanno parte i nostri studenti; abbiamo collaborato a diversi progetti di ricerca con importanti committenti.
Per la tesi di classe abbiamo collaborato con Moncler Reebok, Furla, Diadora, e poi abbiamo collaborato col Castello di Rivoli e con altri contesti artistici durante la manifestazione di Artissima che si tiene a Torino.
Vengono sviluppate delle competenze che diventano flessibili e dinamiche, e che permettono di passare da un progetto all’altro nell’ambito del Fashion: ci si trova presto a seguire e a portare avanti progetti multidisciplinari, quindi si è formati per avere questo tipo di attitudine.
Abbiamo competenze nell’ambito della ricerca, poi c’è il passaggio verso la parte ideativa e poi c’è la possibilità di strutturare le fasi di lavoro, e poi in ultimo c’è la struttura della dimensione comunicativa e ancora prima espressiva.
Abbiamo diversi profili in uscita che cambiano mutano continuamente a seconda del momento storico.
Non bisogna pensare a grandi spazi temporali: in realtà l’ambito del Fashion è in continua mutazione.
La multidisciplinarietà e la flessibilità permettono ai nostri studenti di trovare poi la loro operatività in ambiti piuttosto importanti, con Brand che nell’ambito del Fashion hanno appunto portato avanti grandi progetti ambiziosi e che coinvolgono i nostri studenti nel contesto lavorativo.
I profili in uscita sono coinvolti in diverse aree dedicate al Fashion: abbiamo il designer del prodotto, delle collezioni, delle stampe, dell’accessorio, della maglieria; abbiamo l’ambito legato all’editoria, quindi la progettazione dello shooting, lo styling, la progettazione della campagna; abbiamo l’ambito della comunicazione e l’ambito legato anche al marketing, al lancio del prodotto sul mercato.
La passione è fondamentale: questo ambito è un ambito coinvolgente, dinamico, che permette anche di esprimere la propria dimensione artistica, ma anche di essere concreti pragmatici e organizzare le risorse in modo da realizzare e comunicare e rendere visibile agli altri le proprie idee.
Ho deciso di insegnare perché credo nella formazione: penso che la formazione aiuti ad ampliare la propria visione, la capacità, il senso critico e la possibilità di esprimersi anche in senso artistico.
A distanza di anni vedo che i miei studenti sono degli eccellenti professionisti ma anche delle persone meravigliose.
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Un corso progettato per formare la figura dell’Innovation designer, fondamentale per progetti a impatto sociale e di cambiamento.
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Cosa succede quando due realtà come IAAD. e Ducati si uniscono per progettare una Summer Class?
Si regala un’esperienza indimenticabile di full immersion nel mondo del Transportation Design.
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